Negli ultimi anni, un fenomeno inaspettato ha preso piede sulla scena politica globale: leader sovranisti e populisti stanno adottando un discorso pro-Bitcoin. Da Donald Trump negli Stati Uniti a Marine Le Pen in Francia, passando per Nigel Farage nel Regno Unito, molti hanno elogiato il Bitcoin o le criptovalute come strumenti di sovranità nazionale o individuale. Un tempo considerato una curiosità tecnologica o una minaccia alla moneta nazionale, il Bitcoin è oggi visto da questi movimenti come un simbolo di indipendenza finanziaria. Una convergenza ideologica che può sorprendere, ma che trova una logica: il Bitcoin, in quanto moneta decentralizzata, si sposa con la sfiducia che i sovranisti nutrono verso le istituzioni centrali (banche centrali, Unione Europea, ecc.). Promettendo di sfuggire al controllo delle élite finanziarie e di restituire al popolo o allo Stato il controllo della moneta, il Bitcoin diventa un emblema perfetto dell’anti-sistema.
Alla base di questa alleanza c’è l’idea che la sovranità economica passi attraverso il controllo della moneta. Storicamente, i sovranisti hanno sostenuto il ritorno al controllo nazionale della valuta (fino a proporre l’uscita dall’euro, come nel caso di Marine Le Pen). Ma il Bitcoin offre un’alternativa radicale: né nazionale né controllata da una banca centrale, bensì transnazionale e guidata dalla comunità. Per leader che sfidano l’ordine costituito, è un modo per aggirare le strutture finanziarie globalizzate accusate di minare la sovranità (come l’UE, il FMI o la Federal Reserve americana). Così nasce un connubio inaspettato tra populismo sovranista e utopia cripto-libertaria: ciò che unisce Trump, Le Pen, Farage e affini è la promozione del Bitcoin come strumento di libertà contro le élite finanziarie.
Leggi anche: Le migliori piattaforme crypto nel 2025: la nostra classifica
Donald Trump: da scettico a paladino del Bitcoin

L’evoluzione di Donald Trump è emblematica. L’ex presidente americano si era dichiarato ostile alle criptovalute – nel 2019 twittava di “non essere un fan del Bitcoin”. Eppure, durante la campagna del 2024 e soprattutto dopo il ritorno alla Casa Bianca nel 2025, ha cambiato rotta in modo clamoroso. Oggi si presenta come un fermo sostenitore dell’industria crypto e del Bitcoin come asset strategico. Prova ne è il recente ordine esecutivo che ha istituito una riserva strategica di Bitcoin per gli Stati Uniti. L’amministrazione Trump ha deciso di conservare i 198.109 BTC già in possesso del governo (frutto principalmente di sequestri giudiziari), per un valore di circa 17 miliardi di dollari, anziché venderli, e valuta di accumularne altri senza intaccare il bilancio federale. L’obiettivo dichiarato: creare una sorta di “Fort Knox digitale” che simboleggi la potenza finanziaria americana in un contesto di incertezza economica.
Questa iniziativa si inserisce in una strategia più ampia con cui Trump punta a fare degli Stati Uniti la “crypto-capitale” del mondo. “Il nostro Paese deve guidare questo settore”, afferma, esaltando innovazione e crescita economica legate agli asset digitali. Coerente con le promesse elettorali, ha nominato un “crypto-czar” alla Casa Bianca e ha moltiplicato gli atti concreti: dal primo summit presidenziale sul tema, a un quadro normativo più permissivo per le valute digitali. Ha persino dichiarato il suo sostegno pubblico al mining di Bitcoin sul suolo americano, affermando di voler che tutti i bitcoin ancora da creare siano minati negli USA – una sintesi di industria energetica, sovranità monetaria e patriottismo economico.
La famiglia Trump, inoltre, ha investito direttamente nell’ecosistema crypto. Il progetto World Liberty Financial (WLFI), sostenuto da Trump e dai suoi familiari, ha raccolto oltre 550 milioni di dollari nella fase di prevendita, cavalcando sia il legame politico sia l’entusiasmo dei suoi sostenitori. Donald Trump ha dichiarato 57 milioni di dollari di ricavi legati al progetto nelle sue comunicazioni di trasparenza finanziaria. Sebbene questo “Trump token” sollevi interrogativi sulla sua struttura e sulle sue finalità, dimostra l'interesse commerciale legato al nome dell’ex presidente. In ogni caso, la svolta pro-crypto di Trump – tra decreti ufficiali e iniziative private – illustra come il Bitcoin sia diventato per una parte del conservatorismo americano un strumento di sovranità finanziaria e una nuova arma contro l’establishment di Washington.
Leggi anche: 5 strategie semplici e redditizie per investire in crypto
Marine Le Pen: dal divieto al mining strategico nazionale
In Francia, anche il rapporto di Marine Le Pen con il Bitcoin è cambiato radicalmente. Nel 2016, la leader del Front National (poi diventato Rassemblement National) vedeva nelle criptovalute una minaccia alla sovranità monetaria. All’epoca chiedeva apertamente il divieto del Bitcoin in Francia, invocando il patriottismo economico: “Una moneta è un bene pubblico nazionale, affidato al popolo sovrano. Pertanto, (il FN) impedirà l’uso di criptovalute come il Bitcoin in Francia”, dichiarava. Le Pen considerava le valute virtuali come strumenti nelle mani della finanza globalizzata per abolire il contante e controllare i cittadini – in sostanza, più un mezzo di alienazione che di liberazione.
Col tempo, però, la sua posizione si è ammorbidita. Nel 2019 riconosceva che le crypto potevano essere “un modo per liberarsi dal giogo delle banche e delle istituzioni finanziarie internazionali”, pur chiedendo una regolamentazione rigorosa per evitare abusi. E nel 2025 ha sorpreso tutti parlando pubblicamente del Bitcoin in termini positivi. Durante una visita alla centrale nucleare di Flamanville, ha proposto di utilizzare i surplus di elettricità nucleare per minare criptovalute – in particolare Bitcoin – allo scopo di creare “riserve strategiche” per EDF, il colosso energetico pubblico francese. Secondo lei, invece di rallentare i reattori (che funzionano al 70% della capacità), sarebbe più utile sfruttare l’eccedenza energetica per attività come la produzione di idrogeno o il mining di Bitcoin. I profitti generati servirebbero a finanziare la manutenzione e l’ammodernamento del parco nucleare – un modo intelligente, secondo Le Pen, di trasformare un problema in opportunità economica.
La proposta ha fatto molto rumore. Primo, perché segna l’ingresso del Bitcoin nel dibattito politico francese ad alto livello: mai prima d’ora una figura di questo calibro aveva inserito concretamente le crypto nel proprio programma. Secondo, perché simboleggia la svolta ideologica di Le Pen sul tema. Passare dal voler vietare il Bitcoin a integrarlo in una strategia industriale nazionale è un’inversione a U. L’esempio d’oltreoceano può averla convinta: pochi giorni prima, Trump aveva ufficializzato la creazione di una riserva strategica di Bitcoin negli Stati Uniti, conferendo nuova legittimità al concetto di cripto-sovranità. Inoltre, l’idea di usare Bitcoin come riserva di valore affascina trasversalmente: perfino l’ex presidente socialista François Hollande ha recentemente incontrato alcuni attori del settore crypto francese per discutere di mining e riserve di Bitcoin in Francia. Segno che il tema va oltre le appartenenze politiche tradizionali.
Marine Le Pen sembra dunque voler cavalcare l’onda crypto, piegandola però alla sua visione sovranista. Promuovendo un Bitcoin “nazionalizzato” (minato con energia francese e a beneficio di un’azienda pubblica francese), cerca di conciliare la filosofia decentralizzata delle crypto con la sua ideologia di sovranità nazionale. Il messaggio agli elettori patriottici è chiaro: invece di lasciare che le criptovalute indeboliscano lo Stato, usiamole per rafforzarlo, sotto il controllo pubblico. Resta da vedere se questa visione saprà convincere oltre la base elettorale del Rassemblement National, e soprattutto come si concilierà con il quadro europeo (dove la BCE e il regolamento MiCA puntano a regolamentare strettamente gli asset crypto).
Leggi anche: Regalare crypto: idee ed esempi pratici
Nigel Farage: la City post-Brexit e il sogno crypto

Nel Regno Unito, Nigel Farage rappresenta un’altra faccia della convergenza tra sovranismo e entusiasmo crypto. L’artefice della Brexit, fiero sostenitore dell’indipendenza britannica da Bruxelles, ha trovato nel Bitcoin un nuovo cavallo di battaglia per riaffermare la sovranità del Paese. Mentre Londra cerca una nuova identità fuori dall’UE, Farage propone di trasformarla in una vera “crypto powerhouse” – un hub globale per le criptovalute. Durante una conferenza Bitcoin a Las Vegas nel 2025, ha annunciato che il suo partito Reform UK accetterà donazioni politiche in Bitcoin, una novità assoluta per il Regno Unito. Ha promesso che, se eletto, introdurrà un Crypto Assets and Digital Finance Bill con una serie di misure pro-crypto: riduzione delle tasse (taglio della tassa sulle plusvalenze crypto dal 24% al 10%), divieto alle banche di discriminare gli utenti crypto e persino creazione di una riserva di Bitcoin presso la Banca d’Inghilterra.
Un programma ambizioso che mira a posizionare il Regno Unito all’avanguardia della rivoluzione finanziaria in atto. Per Farage, è il naturale proseguimento del Brexit: libera dalle regole europee, la City può recuperare terreno rispetto a centri come Miami o Singapore adottando un contesto ultra-favorevole alle crypto. “Aiutiamo il nostro Paese ad entrare pienamente nel XXI secolo: riconosciamo che le crypto e gli asset digitali sono qui per restare”, ha dichiarato, rivolgendosi soprattutto ai giovani britannici.
Il discorso di Farage si allinea alla sua ideologia libertaria e anti-establishment: dopo anni passati a denunciare la burocrazia di Bruxelles e a esaltare la “libertà”, vede nel Bitcoin un’eco perfetta delle sue battaglie. L’ADN del Bitcoin – decentralizzazione, sfiducia verso la finanza tradizionale, autonomia individuale – risuona con la sua crociata contro l’élite finanziaria. Non a caso, durante il suo intervento ha lodato gli Stati Uniti per essere “più avanti” nell’approccio agli asset digitali, in riferimento alle iniziative di Trump e di altri leader conservatori americani.
Ovviamente, alcuni osservatori cinici notano che Farage cerca anche di attrarre un elettorato poco affine all’estrema destra ma sensibile alla tecnologia e all’innovazione. Adottando l’iconografia Bitcoin, l’ex leader dell’UKIP tenta un colpo di marketing politico per rinnovare la sua immagine. Tuttavia, il suo impegno pro-crypto si inserisce coerentemente nella sua visione sovranista: ridare al Regno Unito gli strumenti per competere finanziariamente, svincolandosi dai vincoli regolatori internazionali. Ironia della sorte: mentre l’UE impone la regolamentazione MiCA per inquadrare le crypto, il campione della Brexit propone l’opposto – libertà d’innovazione, anche a costo di sconvolgere le convenzioni monetarie. Resta da capire se queste proposte resisteranno al test delle urne e se la Bank of England vedrà mai il Bitcoin tra le sue riserve ufficiali – uno scenario che, fino a poco tempo fa, sembrava pura fantascienza economica.
Leggi anche: Bitcoin a 100.000 $: comprare, vendere o aspettare?
Dal Salvador all’Argentina: un’ondata crypto-populista globale

Il legame tra sovranismo e criptovalute non si limita all’Occidente. In tutto il mondo, altri leader in rottura con l’ordine tradizionale hanno adottato il Bitcoin come simbolo della propria ricerca di indipendenza. L’esempio più emblematico è quello del Salvador. Nel 2021, il presidente Nayib Bukele – un populista che si presenta come sfidante delle istituzioni globali – ha reso il Bitcoin moneta legale nel Paese. Una decisione storica, motivata dalla volontà di affrancarsi dalla dipendenza dal dollaro americano (valuta ufficiale del Salvador) e dagli organismi finanziari internazionali. Bukele ha presentato il Bitcoin come uno strumento per attirare investimenti, facilitare le rimesse degli emigrati e restituire sovranità monetaria a un piccolo Stato dipendente dall’estero. Pur restando controversa – l’adozione è ancora limitata, la volatilità alta e il FMI contrario – la scelta ha conferito a Bukele un’aura da “leader visionario del futuro” presso molti appassionati di crypto. Il suo esempio ha ispirato iniziative simili, dalla Repubblica Centrafricana (che nel 2022 ha brevemente reso legale il Bitcoin per affrancarsi dal franco CFA) a insolite cooperazioni internazionali, come un recente accordo tra Salvador e Pakistan per promuovere l’uso delle criptovalute tra i due Paesi.
In America Latina, anche l’Argentina mostra le promesse e i pericoli di questa alleanza tra crypto e movimenti anti-sistema. Il nuovo presidente Javier Milei, ultra-libertario e anticonformista, non ha mai nascosto la sua ammirazione per il Bitcoin. Durante la campagna ha attaccato duramente la banca centrale argentina (che ha definito “una grande truffa”) e ha lodato le criptovalute come alternativa per proteggere gli argentini dall’iperinflazione. Il suo slogan “Viva la libertad” è stato perfino associato a un progetto di token digitale, a dimostrazione della sua volontà di legare la retorica anti-sistema al mondo crypto. Tuttavia, l’esperienza Milei serve anche da monito. All’inizio del 2025, il presidente ha promosso un token oscuro chiamato $Libra, presentandolo come vettore di crescita economica nazionale. Il token ha vissuto un’impennata speculativa seguita da un crollo verticale in poche ore, causando pesanti perdite per migliaia di investitori – uno scenario tipico di “rug pull”. Lo scandalo ha innescato proteste politiche e legali: l’opposizione ha chiesto la destituzione di Milei, accusandolo di aver usato la sua posizione per ingannare il pubblico. Perfino l’ex presidente Cristina Kirchner lo ha attaccato, affermando che è passato da “leader mondiale autoproclamato” a “truffatore crypto”.
Eppure, la tendenza globale prosegue: dall’America Latina all’Asia, dall’Africa all’Europa orientale, molti movimenti in rottura – che siano di destra nazionalista o di sinistra radicale – stanno esplorando l’uso delle criptovalute per aggirare le vie finanziarie tradizionali. In Russia e in Iran, progetti di pagamento in crypto servono a eludere le sanzioni internazionali che ostacolano il commercio. In Turchia, l’adozione massiccia di Bitcoin da parte dei cittadini riflette la sfiducia nella lira e, indirettamente, nel sistema politico. Ovunque, il Bitcoin entra nel dibattito sulla sovranità monetaria, con tutte le sue opportunità e i suoi rischi.
Bitcoin come bandiera politica: opportunità e rischi
L’ascesa del Bitcoin come strumento sovranista solleva interrogativi reali. Da un lato, rappresenta una rottura deliberata con l’ordine finanziario tradizionale. Un tempo marginali, le criptovalute entrano ora nelle strategie nazionali. Per i sovranisti, il Bitcoin è simbolico: un asset fuori controllo, che promette di restituire potere – al popolo (nella visione libertaria) o allo Stato (nella visione nazionalista).
Ma questa scommessa è altamente rischiosa. Il Bitcoin è volatile, speculativo, e la sua adozione ufficiale – come in Salvador – può portare a grosse perdite. Può anche diventare uno strumento elettorale o una vetrina populista, come dimostrano le derive di certi progetti legati a Trump o Milei.
Per le istituzioni finanziarie, la domanda è cruciale: il Bitcoin potrà diventare davvero una riserva di valore? O finirà per indebolire la sovranità monetaria classica, sfuggendo a ogni regolamentazione? Senza un quadro normativo solido, il rischio di derive economiche, fiscali e politiche è concreto.
In sintesi, il legame tra Bitcoin e sovranismo va oltre la tecnologia. Segna l’ingresso delle criptovalute nel campo politico globale. E quando i leader sventolano ledger al posto delle bandiere, è il controllo stesso della finanza di domani che è in gioco.